sabato 31 marzo 2012

GIN vs GIN, QUALE CI PIACE???

La premessa è doverosa e non può che essere sulla storia del Gin, ampliandola poi con una spiegazione sulla produzione.

Il gin, nato in Olanda verso la metà del 1600 ad opera di un medico dell' università di Leda, Francisco Della Boe, meglio noto come Franciscus Sylvius, come molti altri distillati e liquori, è nato come medicinale, infatti il suo inventore stava cercando un rimedio per curare i soldati olandesi che si ammalavano di febbre nelle Indie Orientali.
Questo prodotto ebbe un tale successo che nel giro di pochi decenni divenne molto popolare anche in Inghilterra, nazione che iniziò poi una porduzione di tale superbo nettare.
Nel 1690 Guglielmo III di Orange vietò l' importazione di distillati stranieri (principalmente quella del Cognac dei tanto odiati nemici Francesi), favorendo così non solo l' utilizzo di quelli nazionali, ma anche l' utilizzo dei cereali in eccedenza che in questo modo sarebbero andati alla produzione dell' alcol da destinare alle distillerie di gin.
La produzione divenne molto importante, così tanto da destinare il distillato come compenso da integrare al salario degli operai; le conseguenze, soprattutto sociali, furono di enorme gravità, a causa dell' aumento dell' alcolismo nella popolazione più povera, con importanti ripercussioni di ordine pubblico e di sicurezza. Il governo inglese tentò di porvi rimedio con il "Gin Acts", ma senza esito.

E' ottenuto dalla ridistillazione di alcol etilico che sia stato aromatizzato con bacche di ginepro. Una delle legislazioni più precise in argomento è quella svizzera:
Legge sulle sostanze spiritose
  • Art. 73 Bevande spiritose al ginepro, gin
  • 1 La bevanda spiritosa al ginepro è una bevanda spiritosa ottenuta aromatizzando con bacche di ginepro (Juniperus communis) alcool etilico di origine agricola, distillato di cereali o acquavite di cereali.
  • 2 È consentito aggiungere altre sostanze aromatiche naturali o naturidentiche, altri estratti aromatici o altre piante aromatiche. Tuttavia, le caratteristiche organolettiche delle bacche di ginepro devono restare percettibili.
  • 3 Il gin è una bevanda spiritosa a base di ginepro ottenuta per aromatizzazione con sostanze aromatiche naturali o naturidentiche oppure con estratti aromatici di alcool etilico di origine agricola, che presenti le caratteristiche organolettiche adeguate. Il sapore delle bacche di ginepro deve prevalere.
  • 4 Il gin distillato (p. es. «London Gin») è una bevanda spiritosa a base di ginepro ottenuta esclusivamente mediante ridistillazione di alcool etilico di origine agricola di qualità che presenti le caratteristiche organolettiche desiderate, e aggiungendo bacche di ginepro e altre sostanze vegetali naturali.
  • 5 Il gin distillato deve soddisfare i seguenti requisiti minimi:
    • a. il prodotto iniziale della ridistillazione deve presentare un tenore alcolico originale almeno del 96 per cento in volume;
    • b. nella ridistillazione il sapore del ginepro deve prevalere;
    • c. per l'aromatizzazione possono essere utilizzate anche sostanze aromatiche naturali o naturidentiche oppure estratti aromatici.

Sostanzialmente lo stile di gin più popolare è il London dry, ma vi sono altre tipologie come il Plymouth dry gin, molto aromatico e saporito, l'Old Tom Gin, addolcito con sciroppo di zucchero e poco diffuso e lo Sloe Gin che è un liquore a base di gin e succo di prugne selvatiche. Le marche più famose di "London dry gin" sono la Gordon's, la Tanqueray (entrambi i gin sono prodotti dalla stessa distilleria), la Bombay e la Beefeater tutte prodotte nella città di Londra. Un buon gin prodotto in Scozia è l'Hendrick's profumato al cetriolo molto in voga nei templi del bere miscelato.
Il gin Bombay Sapphire, prodotto con metodo London dry, viene distillato almeno tre volte in un alambicco chiamato "Carter Heads" e tutto il processo è severamente controllato dall'apposito bureau.



 Alla degustazione troveremo sostanziali differenze tra i vari gin:


  • Tanqueray, gin decisamente secco, leggermente floreale, ottimo impiegato per il Dry Martini o per il Gin Tonic;








  • Tanquery Ten, che viene prodotto con una più importane selezione di botanicals tra cui scorze di agrumi fresche e spezie pregiate in un alambicco discontinuo chiamato appunto "Ten"; l bottiglia riprende la forma dello shaker degli anni '20, quando il gin era all' apice della sua popolarità e durante la quale vennero inventati alcui dei cocktail immortali con questo prodotto. Ha un più spiccato aroma floreale e fruttato del primo anche se rimane decisamente secco, ottimo nei Dry Martini decorato con un twist di limone strizzato in superficie (senza lasciarlo cadere nel cocktail);


  • Bombay Sapphire, decisamente più fruttato e floreale, qui il bouquet è vasto e variegato, troviamo vari profumi che ci riportano nella città dove nacque e da cui prese il nome, anche se oggi viene prodotto a Londra, ottimo miscelato alla acqua tonica;




  • Hendrik's, London Dry Gin prodotto in Scozia, dove l' arte distillatoria è secolare e dove Mr Alan Rimmer, fautore di tutti i singoli lotti di Hendrtik's che siano mai stati imbottigliati, utilizza e custodisce gelosamente i suoi due alambicchi, Carter-Head e Bennet; il risultato di questo blend è un gin, artigianale, estremamente morbido ed elegante, caratteristiche che vengono raggiunte grazie alla piccolissima produzione in lotti da 450 litri (solitamente i lotti più piccoli sono di 1000 litri), con note di cetriolo e fiori di rosa, coltivati personalmente dal distillatore; ottimo on the rock's, oppure con acqua tonica che va ad esaltare i profumi di cetriolo;

  • Monkey 47, Gin tedesco, della Foresta Nera, unico nel suo genere per stile e gusto, viene prodotto con 47 botanicals, dei quali il mirtillo spicca decisamente in degustazione lasciando un deciso amaro in bocca, è prodotto in doppia distillazione di grano, di cui un terzo con botanicals, e affinato in vasi di creta;




  • Beefeater, rinomato gin dei guardiani della torre di Londra, veri e propri simboli della città che anticamente avevano il compito di assaggiare la carne prima del re, per verificare se essa fosse stata avvelenata; era il loro preferito anche per il tenore alcolico molto alto, molto secco, e e non molto aromatico, si sposa bene nella miscelazione con altri liquori, come nel negroni;



  • Plymouth, nel 1753 nacque nell' omonima città la distilleria, all' interno di un monastero immerso nella foresta di Dartmoor, ottenuto da solo 7 botanicals, è un gin noto per il suo tenore alcolico superiore a 56% vol e per un residuo zuccherino che lo pone tra il dolce Old Tom ed il London Dry, rendendolo unico ed inimitabile, ottimo servito on the rock's;



  • N°3, gin aromatico ottenuto da vari botanicals (coriandolo, cardamomo e scorze d' arancia) che affiancati al ginepro, abbondante, lo ingentiliscono; eccellente servito con acqua tonica. 





  • Nolet's, è il gin più costoso al mondo, prodotto ancora dalla famiglia Nolet in Olanda, che portano avanti la tradizione familiare fin dal 1691; solo alcune decadi fà, circa dieci, ebbero un breve cambio di produzione, volvendo i loro interessi di distillazione sulla vodka; la ricetta comprende botanici tipo limone, liquirizia, lampone, pesca bianca e petali di rosa turche; il risultato finale è un distillato differente dagli altri, leggermente dolce, fruttato e floreale, ottimo on the rock's;

  • Corsair Barrel Aged Gin, ottenuto dall' affinamento di sei mesi in barili dove in precedenza vi è stato affinato il Rhum; di base il gin che viene messo ad invecchiare presenta un alto contenuto di ginepro, che andrà a dare coraggio al prodotto finale, che si presenterà piccante e audace e con un finale rinfrescante con note evidenti sempreverdi e di agrumi. Una bevanda invernale perfetta da bere liscia;


  • Martin Miller's, sicuramente il più ricercato dei gin, e dal percorso produttivo più dispendioso; l' idea venne a tre gentiluomini di Notting Hill, quartiere elitario londinese, che capitanati dal sig Miller decisero di produrre un distillato senza pensare a problemi logistici ed ai costi, volendo ottenere un podotto finale dalla qualità assoluta. Il distillato è fatto nel cuore di Londra, utilizzando i migliori botanical assoluti, nel tipico stile del London Dry; l' alambicco ha un nome, Angela, ed è stato costruito da Jonh Dore, che paragonato alle auto la sua fama è pari alla Rolls Royce); in fine il distillato viene trasportato fino in Islanda, 3000 miglia, dove viene addizionato all' acqua prelevata dai maestosi ghiacciai. Quest' acqua è dieci volte, e più, più pura di qualunque acqua minerale presente sul mercato, per la semplice ragione che il ghiaccio accumulato, appunto negli strati più bassi, è risalente a prima della rivoluzione industriale. Non appena viene svolta questa fase viene riprtato in patria e messo in commercio.


In conclusione potremo dire che il Gin è: un distillato forte, chiaro (tipicamente incolore), secco, è prodotto dalla distillazione di un fermentato ottenuto da frumento ed orzo in cui viene messa a macerare una miscela di erbe, spezie, piante e radici: "i botanicals"; la ricetta di tale miscela viene mantenuta gelosamente segreta dalle varie distillerie, inquanto influisce pesantemente sul gusto finale, differenziando i vari prodotti tra loro. Tra questi ingredienti sono presenti le bacche di ginepro, che per legge devono spiccare nel gusto e nel profumo e da cui deriva il nome.  

venerdì 30 marzo 2012

Un' esplosione di profumi...



Siamo in Terra emiliana, nel basso parmense, la cantina è "Ceci", nata nel 1938 da Otello Ceci, rinomato oste della sua provincia; lungimirante del risultato che otteneva proponendo il suo Lambrusco, (scurissimo per la pigiatura ottembrina, rito che è divenuto mestiere per lui ed i suoi successori), veniva servito nelle scodelle di legno abbinato a culatelli, salami e prosciutti locali.
Oggi alla guida della azienda troviamo Alessandro Ceci, enologo e direttore, che ha mantenuto alte le aspettative della qualità e ha rilanciato investendo sull' immagine, con un fantastico ed unico packaging...

Terre Verdiane Malvasia Secca
Il Lambrusco è il vino che li ha resi famosi, ma non è quello di cui ho voglia di parlare, oggi vi voglio raccontare del "Terre Verdiane, Malvasia Secco", vino bianco frizzante ottenuto da Malvasia Bianca di Candia Aromatica, uva aromatica che appartiene al grande gruppo delle Malvasie, nel quale rientrano diversi vitigni dalle caratteristiche differenti; il nome che li accomuna deriva dal fatto che nel Medioevo venivano impiegati per ottenere vini dai caratteri organolettici simili, come un' importante aromaticità, elevati residuo zuccherino e alcolicità.
Si pensa che la sua introduzione in Italia sia da attribuire ai veneziani che la importarono nel XIII secolo dalla Grecia.
Si distingue dalla "Malvasia Bianca di Candia" per la sua spiccata aromaticità.

Volendo fare una piccola parentesi, adesso mi sembra doveroso capire come si possano suddividere in modo grossolano le uve perchè troveremo uve neutre, semiaromatiche e aromatiche; la differenza, è data dai profumi varietali che come ci suggerisce il termine stesso parliamo di quelli che derivano direttamente dalla varietà; le sostanze che li scaturiscono perlopiù sono i terpeni (molecole presenti nelle bucce che conferiscono agli acini i profumi, i più importanti sono il geraniolo, linalolo e nerolo) .
Le uve si suddividono in tre grandi gruppi:

Malvasia Bianca di Candia Aromatica
  • UVE NEUTRE, sono quelle che non presentano dei profumi tipici che differienzano il suddetto vitigno da altri, sempre e conunque, e si trovano in ogni terroir (per fare alcuni esempi troviamo il Cortese, il Greco, il Fiano, la Noisola, i Trebbiani, il Verduzzo e il Vermentino che sono i più importanti a bacca bianca e come esempio a bacca rossa i più importanti sono l' Aglianico, la Barbera, il Bonarda, la Croatina, la Corvina, il Gaglioppo, il Gamay, i vari Lambruschi, il Nebbiolo, il Montepulciano, il Sangiovese e lo Schioppettino);
  •  UVE SEMI AROMATICHE, sono invece quelle che nell' acino non presentano profumi unici e diretti, ma durante tutti i processi evolutivi a cui il mosto viene sottoposto accade qualcosa che scaturisce dei profumi che poi ritroviamo sempre ( e qui troveremo il Sauvignon, il Riesling, il Prosecco, lo Chardonnay, il Kerner e il Sylvaner, per i bianchi e invece per i rossi il Cabernet Sauvignon, il Cabernet Franc ed il Merlot);
  • UVE AROMATICHE, sono invece quelle uve che presentano gli stessi profumi sia nell' acino, che durante le lavorazioni ed evoluzioni che nel vino finito ed invecchiato e per fare una prova ci basta masticare un' acino di uva aromatica e ci renderemo conto di ciò di cui ho parlato (i vitigni sono i Brachetti, le Malvasie, i Moscati e Gewurztraminer).
la cantina
  Tornando a noi, vorrei descrivere questo vino che tanto mi ha colpito; non appena ci siamo seduti al tavolo dello stand (io, mia moglie e l' amico Lorenzo, che è il referente di zona, insieme al capo area della Toscana e alla direttrice delle pubbliche relazioni della azienda) ci è stato proposto come primo assaggio il "Terre Verdiane Malvasia Secco", millesimo 2011; io l' ho accettato quasi con riluttanza, non mi faceva impazzire l' idea di questo vino, ma ancor di più non me la sono sentita di rifiutarlo in loro presenza, "E MENO MALE, dico io" mi sono dovuto rimangiare tutti i pregiudizi che avevo, e posso garantire che per me non è difficile, ma quasi impossibile!

Una volta versato mi sono soffermato ad osservarlo e a pensare a che vino stavo per degustare e giudicare, in relazione alle sue caratteristiche, come è giusto che sia, e utilizzando la terminologia AIS direi:
  • il vino si presentava cristallino, di color giallo paglierino con riflessi verdolini e abbastanza consistente, per quello che riguarda il perlage ho notato delle belle bollicine che definirei abbastanza fini, o quasi, ed abbastanza persistenti;
  • avvicinandolo al naso direi che era intenso, abbastanza complesso e fine, con note erbacee, minerali, fruttate, armomatico e franco, con note ben distine di melissa, bianco spino, qualche lieve nota di timo, poi ancora il rosmarino,  la rosa ed fiori di pesco arrivano in conclusione;
  • una volta portato alla bocca ecco il mio stupore, un altro vino, secco, con una bella freschezza e con una giusta effervescenza che fa salivare e invoglia a berne ancora e gli aromi a poco a poco tornano fuori, di gusto equilibrato e abbastanza intenso, a dispetto di ciò che pensavo anzichè cadere immediatamente rimane abbastanza a lungo in bocca, quindi direi abbastanza intenso e con un palato abbastanza fine;
  • per ciò che riguarda lo stato evolutivo direi proprio che è pronto, questo non è di certo un vino da lasciar in cantina e l' armonia riepilogando tutte le sensazioni direi proprio che ho trovato delle senzazioni che si sposano bene tra loro.
In abbinamento lo vedrei bene sicuramente come aperitivo, magari in estate in spiaggia  con un prosciutto di parma, o con del lardo, non troppo saporito come quello d' Arnad, ma un lardo di maiale bianco toscano.

In conclusione due paroline ancora mi sembrano doverose sulla storia di questo nettare.


La Malvasia Terre Verdiane ancora oggi è l'espressione di come la tradizione secolare della gente di questo luogo sia viva ed immortale; vede le sue origine nella lontana domenica sera del 10 ottobre 1813, quando Carlo Verdi dopo aver visto nascere il figlioletto Giuseppe, volle brindare alla nuova vita stappando una bottiglia e versando nei calici questo nettare sopraffino; il profumo di malva, rosa e rosmarino inondò la stanza e ciò fece sì che ne parlassero a lungo e ricordassero di quella sera e di quel brindisi fatato.

Come si dice in Toscana "Ganzissimo..." e adesso mi sa che stappo!!!

mercoledì 28 marzo 2012

Le birre da divano della riserva di Teo Musso, la Xyauyu e la Xfumé...


Birra, birra e ancora birra, non si direbbe ma in queste bottiglie da mezzo litro sapientemente prodotte dal birrificio Baladin di Piozzo, Cuneo, Teo Musso, mastro birraio e patron, lavora e magicamente crea questo elisir di lunga vita.
Mi sembra doveroso spendere due parole per spiegare il percorso che lui ha fatto per arrivare ad oggi, e, cercherò di farla breve.
Da sempre appassionato di birra, nei primi anni ottanta decise di andare fino in Belgio per imparare l' arte brassicola.
In questa terra, da sempre patria della birra, spese due anni dietro a due produttori di birra; uno era il tradizionalista estremo, un personaggio che ancora caricava il fuoco dei fermentatori a carbone e lasciava che il prodotto avesse il suo naturale decorso, insinuando: "un problema o difetto di oggi diventerà una caratteristica di gusto e sapore della birra di domani"; l' altro invece, l' innovatore, tutto l' opposto del primo era un chimico che studiava nel minimo particolare qualunque passaggio nelle fasi di produzione, senza mai lasciare nulla al caso, potendo così prevedere il prodotto finito.
Tornato in Italia, decise di trasformare la cucina del Pub che da pochi anni aveva aperto, creando la prima birreria artigianale in patria.
Io la faccio semplice ma sicuramente per lui all' epoca non lo fù affatto; sò che per ottenere i permessi dovette impegnarsi con tutta la sua caparbietà insistendo molto con i vari uffici pubblici, tanto da dover aspettare otto mesi per ottenerli; dopodichè cercando di arrangiarsi come poteva creò due fermentatori partendo da due scaldabagni, dato che la moneta non abbondava.
Dopo tutti questi sforzi, come prevedettero tutti perse buona parte del lavoro nel pub, a detta sua circa il 60%, ma a differenza di chiunque altro anzichè demoralizzarsi, sfruttò l' occasione del tanto tempo a disposizione per studiare una birra a sua immagine e somiglianza, con una convinzione certa: voler cambiare il gusto degli italiani riguardo alla birra e far inserire queti prodotti nelle carte dei migliori ristoranti, un' utopia per chiunque, una certezza per lui.
Nel giro di poco iniziò la sua produzione con la "Super", la sua prima birra prodotta e commercializzata, una birra di puro malto da 8% vol, poi arrivò la "Isaac", una birra dedicata al figlio, ispirata alle Blanche Belge, una birra bianca, ottenuta da frumento crudo.
Dopo pochi anni di fermentazioni nel retro del Pub decise di ampliare la produzione e restaurò il pollaio della casa dove era cresciuto, quello dei suoi genitori; la sua idea era di produrre il mosto nel retro del Pub per poi trasporlo nella nuova struttura dove lo avrebbe fatto fermentare; piano perfetto, tutto era organizzato, ma ancora una volta l' ufficio di igiene gli ruppe le uova nel paniere dicendogli che non poteva trasportarlo da una parte all' altra del paese su ruote; chiunque si sarebbe fatto prendere dal panico, pensate che dopo un' ingente investimento di denaro anzichè poter ampliare la produzione avrebbe dovuto fare retromarcia, Teo invece andò a parlare con il sindaco del paese e: prima prese del matto, poi dopo una lunga ed estenuante opera di convincimento riuscì a farsi dare ragione e costruì un birrodotto, cioè un condotto sotterraneo che per una distanza di 400 metri attraversa il paese, tra condotti fognari, dell' acquedotto e tutto quello che si può trovare sotto un centro abitato e che si può leggere sulle mappe catastali.
Dopo molti anni, dal 1986 ad oggi, le Baladin è uno dei birrifici più importanti d' Italia, e come tale è sia amato che criticato, io da parte mia dico solo che sono dieci anni che propongo queste birre nelle mie carte e pur continuando a provare altri birrifici italiani, almeno per ora, rimango fedele a loro.

Torniamo ad oggi e prendiamo in esame la "Xyauyu" nel millesimo 2008, si si, stiamo parlando di birra e stiamo parlando anche di millesimo, quindi la birra in questione è invecchiata,  v ediamo come viene prodotta:
la fermentazione, processo biologico in cui sono coinvolti numerosi enzimi che collaborando con il lievito fa sì che lo zucchero si trasformi in alcol, è quella alta, quella che implica l' utilizzo di lievito Saccharomyces Cerevisiae, che appunto agisce alle alte temperature, tra i 15 ed i 25°C, e raccolto poi alla fine del processo in superficie e riutilizzato per le semine future.
Un pò più nel dettaglio la famiglia di appartenenza è quella della Ale, birre di origine Anglosassone, prodotta con malto d' orzo, cereali non maltati e luppolo, in genere filtrate e pastorizzate e con titolo alcolometrico che si aggira tra il 6 ed il 7 % in vol, insomma, l' opposto delle Pilsner.
Ancor più nello specifico si tratta di Barleywine, che sono delle Ale con titolo alcolometrico che si avvicina a quello del vino e malti tostati; in questo caso il titolo è pari al 14% di vol e la birra subisce una macrossidazione di due anni, durante i quali cambia totalmente aspetto, avvicinandosi più ad un madeira piuttosto che ad una birra.

Andando a fare un esame di questa birra direi:
per quanto riguarda l' esame visivo, nello specifico della schiuma (solitamente moto importante in una birra)  che salteremo, la Xyauyu, essendo macrossidata per due anni perde totalmente la effervescienza,  non da considerarsi come difetto ma come caratteristica di questo prodotto.
Il colore è di un ambrato intenso, tendente al mogano, l' unghia assume dei riflessi meravigliosi di un ramato intenso, è brillante e la fluidità arriva ad essere viscosa, ma non dobbiamo dimenticarci che nel bicchiere non abbiamo una qualunque Ale, quindi lo prendiamo come un punto di forza e buon segno.
All' esame olfattivo direi che è desicamente molto intensa, con lungas persistenza e con innumerevoli sentori fruttati, speziati, vinosi, eterei ed animali, con note di miele di castagno, note di madeira, frutta secca e così tanti altri che dovrei passare tutta la sera a descriverli.
In bocca si apre intensa, decisamente lunga, con un meraviglioso equilibrio di gusto e facendola roteare nel palato possiamo riscontrare tutte le sfaccettature, con sentori sapidi, dolci, acidi e amari, tutti decisamente e sapientemente equilibrati anche se alla fine le durezze cercano di tornare fuori, ma non la vedrei come difetto. Il corpo è decisamente pieno.
Direi che l' equilibrio c' è ed è ben bilanciato.
L' abbinamento esatto credo possa essere sia con cioccolato che con una torta "Sacher" (la ricetta originale ovviamente), ma sarei curioso di fare un' azzardo con qualche preparazione di foie gras, tipo una variante di "Filetto alla Rossini", magari andando a sostituire la salsa al porto con una uguale alla Xyauyu.  


Io personalmente la adoro da meditazione in sostituzione ad un distillato, magari in terrazza al chiar di luna e con un bel sigaro in mano, magari un Domenicano, dolce, oppure se si vuol rimanere nel Granducato di Toscana con un bel Moro, che nella sua grande forza esprime anche eccellenti note morbide ed armoniose.


Burson di Burson, una bella espressione della Romagna enoica...



Ieri ero a Verona, per il Vinitaly, e passeggiando nello stand della Romagna sono andato alla ricerca di un piccolo produttore che avevo avuto modo di conoscere in treno un paio di anni fà, sempre in occasione del Vinitaly, e che mi aveva colpito molto descrivendomi la sua azienda e il vino che produceva; allora lo trovai interessante, quindi sono voluto andare a riprovarlo.
Il "Bursôn di Bursôn Etichetta Nera" dell' Azienda Agricola Daniele Longanesi, prodotto in località Boncellino, nei pressi di Bagnocavallo in provincia di Ravenna.
Lui, Daniele Longanesi, il titolare dell' azienda, da buon romagnolo doc ci ha accolti al suo banco con grande sprito festoso e gioioso e insieme abbiamo passato qualche piacevole minuto a chiacchierare sull' uva Longanesi e sul suo Bursôn.



L' Uva Longanesi è così chiamata in onore di Antonio Longanesi (1854/1934), il quale nel 1913 acquistò l' attuale proprietà in un "roccolo", area boscosa dove veniva praticata la caccia agli uccelli di passo; qui venne trovata una vecchia vite, abbarbicata ad una vecchia quercia che veniva utilizzata come richiamo per gli uccelli. Vista la rusticità della pianta e la resistenza alle malattie fungine dei grappoli la famiglia decise di provare a produrre un vino per un loro consumo familiare, come del resto facevano tutti i contadini della zona; venne prodotto subito un vino gradevole che venne ben presto apprezzato anche dagli amici, favorendo così negli anni a seguire la diffusione di quest' uva nelle zone.
Nel 1956 venne deciso di piantare il primo vigneto di Uva Longanesi, che con il vino ottenuto si doveva soprattutto andare ad arricchire di tenore alcolico degli altri vini presenti in azienda; poi finalmente, intorno al 1970 dopo anni di ricerche ed analisi isoenzimatiche, presso l' Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano Veneto e presso l' Istituto Agrario di San Michele all' Adige, confermando che questo vitigno  non assomiglia a nessun altro finora conosciuto,  tentarono di regolarizzarlo tramite l' università di Bologna, ma senza ottenere buoni risultati. Dopo un lungo iter burocratifo finalmente nel 1999 venne iscritto nell' albo dei vigneti col numero 357 come Uva Longanesi, in onore appunto ad Antonio Longanesi e alla sua famiglia che vollero salvarlo a tutti i costi.
Dal 1998 viene prodotto il Bursôn (soprannome dei componenti della famiglia Longanesi), il cui nome è stato depositato e concesso in uso gratuito al Consorzio "Il Bagnacavallo" a tutela della sua tipicità.
Attualmente il Bursôn viene prodotto con il 100% di Uva Longanesi in due versioni: Bursôn etichetta blu e Bursôn etichetta nera.


BURSÔN ETICHETTA BLU 2009

Vino prodotto quasi nella sua totalità per il mercato della regione, più beverino e meno strutturato dell' altro, nasce rispettando canoni e gusti della provincia. Le uve vengono racolte e almeno il 40% di esse viene sottoposto a macerazione carbonica. Vengono fatte fermentare per 7/8 giorni in un fermentino a temperatura controllata, dopodichè il vino viene lasciato per 15 giorni in cisterna d' acciaio, dove viene pulito dalla feccia pesante. In seguito trascorre 10/12 mesi in botte di rovere da 500 litri. Infine viene imbottigliato e commericalizzato dopo almeno sei mesi.
All' esame visivo si presenta di un accattivante colore bello brillante, rosso rubino scuro, quasi nero, e con un' unghia che tende al viola scuro; naso vinoso,  spiccano le note di amarena, frutti di bosco, sentori balsamici e anche qualche sentore di spezie.
In bocca è secco, caldo, abbastanza morbido e tannico, forse tendente all' astringente, lieve caratteristica probabilmente segno di troppa gioventù, e abbastanza corposo. 
In abbinamento vedo bene un piatto di spaghetti alla Chitarra, di pasta all' uovo, con un ragout di germano, fatto in stile toscano, dove la grassezza non manca di certo ed il corpo di vino e cibo è equilibrato.


BURSÔN ETICHETTA NERA 2008
Questa versione più strutturata e corposa dell' altra viene quasi totalmente venduto sul mercato nazionale e non locale.
Le uve vengono raccolte e almeno il 50% di esse viene passito. Vengono fatte fermentare per 12/14 giorni in un fermentino a temperatura controllata dopodiché il vino viene lasciato per 15 giorni in una cisterna d’acciaio dove viene pulito dalla feccia pesante. In seguito trascorre 12 mesi in botte di rovere da 500 litri e 12 mesi in botte grande da 30 quintali. Infine viene imbottigliato e commercializzato dopo almeno 6 mesi. 
Il colore come nell' altro caso è di un fantastico rosso rubino intenso e scuro con unghia violacea, leggermente più spento dell' etichetta blu ma sempre molto vivace, al naso è un' esplosione bouquet di fiori rossi maturi,  frutta appassita e sotto spirito, e si possono riscontrare note di amarena, ciliegie marasche fragoline di bosco e more, spiccano anche note di balsamiche, di vaniglia e di tabacco, ma anche di pepe.
In bocca è decisamente secco, caldo, poco morbido, fresco e tannico, quasi astringente, sapido e di medio corpo; insomma le durezze spiccano decisamente sulle morbidezze, quindi direi che ha ancora possibilità di evolvere e nel giro di un paio di annetti sarei curioso di riprovarlo. 
Come abbinamento a questo vino ci vedrei bene un umido di colombacci, dove il corpo del piatto, di poco superiore all' altro sposa bene quello del vino e, grassezza ed untuosità della preparazione vengono bene contrastati da freschezza e da un tannino ben presente e abbondante.




 

  

domenica 25 marzo 2012

Cola Baladin, la versione italiana della bibita più famosa al mondo...




una bibita diversa, ottenuta senza utilizzo di conservanti e coloranti artificiali, trova le sue origini dalla vera noce di cola della Sierra Leone, dal colore accattivante, tipico della noce, un bel porpora, violaceo brillante, limpida; in bocca si presenta con una frizzantezza del tutto gradevole, non aggressiva ma setosa che riempie il palato e lo accarezza; il sapore, sicuramente diverso dalle altre versioni, presenta sentori agrumati arricchiti da profumi di amarena.

LA NOCE DI COLA E LA SIERRA LEONE


La repubblica della Sierra Leone è uno Stato dell' Africa Occidentale, sulle coste dell' Oceano Atlantico. Deve il suo nome al Portoghese Pedro de Sintra che la chiamò così nel 1460. La nazione confina con la Guinea e conm la Liberia. E' un paese che ha vissuto tutta l' epopea della schiavitù e della loro liberazione che viene ricordata nel nome della capitale Freetown, Cittè Libera, che fu fondata nel 1787, sotto il protettorio britannico.



 La Cola è una pianta sempreverde appartenente alla famiglia delle Sterculiacee, originario delle foreste tropicali dell' Africa Occidentale.
E' un albero alto 10-15 m, h foglie acuminate, fiori raggruppati in infiorescienze a racemo, costituite da fiori maschili, femminili ed ermafroditi.
Il frutto è costituito da 2-6 follicoli che racchiudono i semi a tegumento carnoso.
Le noci di cola (i cotiledoni dei semi), dal contenuto elevato di caffeina e polifenoli come catecolo, epicatecolo, proantocianidoli, vengono utilizzate come aromatico nelle bibite, in bevande alcoliche, in erboristeria come fonte di caffeina, non trova impiego in farmacia se non nella formulazione di nutraceutici.
Le sostanze contenute nelle noci sono stimolanti del sistema nervoso centrale. I popoli africani masticano la polpa delle noci fresche per ottenere un effetto eccitante ed energetico.


martedì 13 marzo 2012

IL CAFFE, UN IMMENSO PIACERE CHE PUO' TRASFORMARSI IN UN INCUBO...



Il caffe, ci sarebbe da scrivere un libro su questo magnifico prodotto, e in effetti di libri ne hanno scritti a centinaia...
Io proverò a descriverlo in poche parole, a sfatare qualche mito e a cercherò di dare qualche piccolo flash, tanto da poter prendere in castagna coloro che vogliano venderci fumo negli occhi!!!
miei cari, è arrivato il momento che capiate che dietro ad un barista che fa un buon caffè c' è...
non la magia nera o un alchimista, ma un "caffe di qualità"!
Allora, iniziamo prima di tutto a capire cosa è il caffe:
bevanda ottenuta dalla macinazione dei semi di alcune piante di origine tropicale, appartenenti al genere "Coffea", che fa parte della famiglia botanica delle "Rubiaceae", un gruppo di angiosperme che comprende oltre 600 generi e 13500 specie.
Sebbene all' interno del genere Coffea siano identificate oltre 100 specie, commercialmente le diverse specie sono presentate come diverse qualità di caffe, e le più diffuse sono: "Coffea Arabica", l' Arabica, e "Coffea Canephora", la Robusta e "Coffea Liberica".
Le specie differiscono tra loro per gusto, contenuto in caffeina, adattabilità a climi e terreni diversi da quelli di origine.
L' Arabica, la specie che è stata usata per prima, una pianta originaria dell' Etiopia, dove il caffe viene chiamato "Buna", del Sudan sud-orientale e del Kenya settentrionale ed in seguito diffusasi nello Yemen, luogo in cui si ebbero le prime tracce del consumo della bevanda, nel lontano 1450 tra i seguaci del sufismo.
I semi di questa specie di caffe hano un contenuto molto inferiore di caffeina, rispetto alle altre specie in commercio, rispetto alle altre specie è autoimpollinante, cioè autogama, inoltre predilige coltivazioni ad alta quota, tra i 1000 ed i 2000 metri. Le prime coltivazioni di Arabica fuori dai territori di origine furono quelle in Indonesia nel 1699.
La Robusta, oggi molto coltivata, è una specie originaria dell' Africa tropicale, tra Uganda e Guinea,  molto adattabile, cresce anche a quote inferiori ai 700 metri, uno dei motivi per cui è più economica. La sua coltivazione è iniziata molto più recentemente, nell' 800. E' una pianta Allogama, quindi necessita impollinazioni incrociate, che la possono differenziare geneticamente più facilmente dell' Arabica.
La Liberica, tra le specie meno diffuse questa è la più imortante, originaria della Liberia, oltre che in Africa Occidentale è coltivata in Indonesia e nelle Filippine.
La Excelsa, scoperta nel 1903 in Africa, in seguito si è scoperto che niente altro era che una variante della Liberia, chiamata "Coffea Liberica var. Dewevrei".
tra le minori troviamo la Stenophylla, originaria dell' Africa occidentale, Sierra Leone e Costa D' Avorio; il profumo è stato paragonato a quello dei the e non è gradito a tutti i palati. La Mauritiana, è il caffe marrone dell' isola Maurizio e della vicina isola della Riunione; la Racemosa, originaria del Mozambico, perde le foglie durante la stagione secca.
Fino alla fine del XIX secolo non era certo quale fosse il luogo di origine della pianta del caffe, e oltre all' Etiopia si ipotizzava la Persia e lo Yemen; Pellegrino Artusi nel suo celebre manuale sostiene che il miglior caffe sia quello di Mokha, città dello Yemen, e che questo sia il luogo di origine di questa miscela, ma su questi argomenti ci sono varie leggende.
La più conosciuta dice che un pastore chiamato Kaldi portava a pascoare le sue capre in Etipoia; un giorno queste incontrando una pianta di caffè  cominciarono a mangiare le bacche e masticare le foglie, arrivata la notte le capre anzichè dormire si misero a vagabondare con energia e vivacità, vedendo lo strano comportamento il pastore ne individuò la ragione, abbrustolì delle bacche e le macinò per fare un infuso.
un' altra leggenda dice che, un giorno,  maometto sentendosi male, ebbe una visione, nella quale l' Arcangelo Gabriele gli offriva una pozione nera, come la sacra pietra della Mecca, creata da Allah, che gli permise di riprendersi e d tornare in forze.
la distribuzione geografica delle coltivazioni del caffè: (r) Robusta, (a) Arabica, (m) entrambe

Indicativamente oggigiorno i maggiori produttori mondiali sono: Brasile, Vietnam, Colombia, Indonesia. Seguono in ordine variabile secondo le varie annate: Messico, Guatemala, Honduras, Perù, Etiopia, India, Equador.
Per quanto riguarda la qualità del caffè, come diceva Artusi, come con più qualità di carni si ottiene un buon brodo, con più qualità di caffè, tostato separatamente, si ottiene una miglior qualità di caffè. Per lui la miscela migliore era 250g di Porto Rico, 100g di Santo Domingo, e 150g di Moka.

Il caffè più pregiato al mondo è il "Kopi Luwak", prodotto in Indonesia; la sua produzione si aggira intorno ai 50kg all' anno e costa circa 500 euro al kg; la particolarità del Kopi Luwak, risiede nel fatto che si tratta di chicchi di caffe mangiati e digeriti dallo "Zibetto delle Palme"(Luwak) la Musang, Mangusta, raccolti a mano e tostati normalmente. Gli esperti della "Cup of Excellence" ovverosia  
"Zibetto delle Palme"(Luwak) la Musang, Mangusta
una giuria che assegna gli "Oscar" del caffè, valutano alcuni parametri ritenuti fondamentali, tra i quali: aroma, dolcezza, sapore, acidità, mancanza di difetti e retrogusto. in genere la qualità è in relazione all' ambiente di crescita, con le pratiche adoperate nella coltura, con il tipo di lavorazione delle bacche e con il luogo di provenienza.
Per ciò che riguarda la conservazione la cosa migliore è mantenerlo in un barattolo di metallo, ben chiuso, macinando sul momento solo quello che serve,  perchè perde facilmente il proprio profumo. Una permanenza di 2/3 settimane all' aria dei chicchi ne compromette totalmente la qualità, alterandola fortemente, risultato causato dall' irrancidimento dell' olio contenuto, nel caso dell' espresso, ad aggravare questo risultato, sarà anche una totale mancanza di crema sulla superficie del caffè in tazza. Attualmente i materiali utilizzati dall' industria per la confezione del caffè in chicchi, sono sufficientemente impermeabili all' aria da permettere una buona conservazione anche del proprio barattolo o busta.

In conclusione, il caffè in  chicchi che si acquista solitamente per casa, non è molto buono proprio perchè come appena sopra scritto, viene lasciato aperto o conservato in modo sbagliato; quindi,  una prova da fare molto semplice, è quella di avvicinare il barattolo del caffè al naso e solo quando è vicino lo apriamo, se il profumo che ne uscirà sarà sufficientemente intenso ed acidulo, come quando lo abbiamo appena comprato va bene, sennò... Quello in polvere invece andrebbe utilizzato entro poche ore, 5/6 dalla macinatura, altrimenti perderebbe le caratteristiche,  essendo un barometro di altissima precisione, (cambiamento atmosferico, umidità, temperatura, etc etc), ecco perchè andrebbe cambiata la grana di macinatura, e, di buona norma sarebbe consigliabile acquistarlo in chicchi e macinarlo a casa.
Per quanto riguarda il caffè al bar, invece, dato che è in chicchi, e macinato al momento o quasi, dovrebbe sempre essere perfetto: allora perchè il 99% delle volte che ci fermiamo per un buon espresso con estremo dispiacere ci accorgiamo che fa schifo???
SEMPLICE, se è mattina presto e vi rivogano la balla che sono i primi caffè non credetegli! E' il caffè macinato il pomeriggio prima, o ancor peggio nella tarda mattinata precedente, che il barista dimenticando il macinino acceso ne ha macinato la scorta settimanale, se non mensile...
Io vedo che tanti vengono da me al locale e mi fanno i complimenti per il buon caffè che gli servo, ma fondamentalmente, come dico sempre, non è che faccio tanto, le regole per un buon caffè sono poche:
  1. la qualità: è inutile, se l' operatore non compra una grande qualità di caffè non potrà mai servirne uno buono,  è anche vero che ci si abitua a bere un caffè di mediocre e discutibile qualità, ma lasciamo cher siano gli altri ad abituarsi alle schifezze mentre noi ne beviamo uno buono...
  2. macinare poca miscela alla volta stando attenti alla grana (difficile da imparare, ma non impossibile)...
  3. fare il caffè con 7 grammi senza fare i furbacchioni, anche perchè cambiando e diminuendo la dose viene uno sciacquone, e il cliente è tutto fuorchè boccalone; lo sente se il caffè non è buono...
  4. la pulizia della macchina del caffè, deve essere fatta regolarmente e con cura, ma non bisogna essere dei geni, basta usare il buon senso e un pò di igiene...
  5. prestare un pochino di attenzione
  6. avere passione e voglia!

queste foto le abbiamo scattate a Bali, in una visita dove producono il caffè di Mangusta, il "Kopi Luwak"
la pianta di caffè

il caffè tostato

il tabacco che ti offrono quando vai a bere il caffè, forte, e con cartine senza colla



i macchinari della macinatura del caffè Balinese...

l' addetto alla tostatura

il caffè da tostare

la mangusta


la sala degustazione...

il nécessaire per l' accompagnamento al caffè di mangusta...

lo zucchero grezzo

il nécessaire per l' accompagnamento al caffè di mangusta...
Wayan, un amico Balinese che beve un caffè di mangusta con noi...

noi, tranne me che scatto la foto...

il bancone bar, con tanto di manuale HACCP...hahaha!


l' addetto alla tostatura...